Concordo anzitutto con chi mi ha preceduto nella discussione che la falsificazione colpisce in diversa misura e certezza le diverse proposizioni scientifiche. Parlavo percio' al seminario di gradi di falsificabilita', dalle ipotesi empiriche ai principi teorici. In caso di difficolta' con l'esperienza, si preferisce spesso sacrificare le prime, dato che sacrificare i secondi potrebbe significare, in mancanza di alternative, gettare via il classico bambino con l'acqua sporca. Il vantaggio di unificare e prevedere a largo raggio va spesso oltre la corrispondenza puntuale ed immediata (ontologica) delle entita' teoriche con la realta' suggerita dall'esperienza. Il loro scopo e' infatti anzitutto quello di organizzare l'esperienza, non di fotografarla.
Questo non significa d'altra parte che bisogna sempre salvare a tutti i costi i principi teorici modificando soltanto le ipotesi empiriche relative a condizioni al contorno o ad uniformita' sperimentali, magari con ipotesi "ad hoc". Cio' e' spesso improduttivo, come la storia delle origini delle teorie relativistiche e quantistiche insegna. Non si tratta di superficialita'. Il fatto e' che la storia non si puo' aggirare ne' comprimere.
"Qualcosa cambia e qualcosa puo' restare immutato" significa che nulla e' definitivamente sicuro o verificabile, sia pure a diversi livelli, e questo e' l'unico senso in cui il falsificazionismo e' certamente valido. Esso pone cioe' un problema che non riguarda solo le ipotesi e le teorie, ma perfino i dati sperimentali, per cui anche questi sono fallibili, e la stessa teoria apparentemente falsificata potrebbe risultare avere piuttosto ragione. Troppi sono gli esempi.
Un criterio di scelta, se criterio deve comunque darsi, e' piuttosto quello della fecondita': "Dai frutti li riconoscerete!". Ma non e' poi cosi' drastico. Un altro e' quello dell'universalita', ma anche questo puo' convivere con pluralita' e frammentazione, cioe' con ipotesi parziali e contestuali, prima di affermarsi con sicurezza. Anche perche' il nesso logico, la chiara deducibilita' da parte a parte, che porterebbe tra l'altro a scelte piu' sicure, non e' sempre immediatamente evidente. Ma ricavare da questa difficolta' pragmatica un'impossibilita' teorica, di principio a favore di proposizioni esistenziali pure, ad esempio in meteorologia, in biologia o in storiografia, e' un "non sequitur". Conviene pensare piuttosto che la ricerca non ha fine e che di fronte alle novita' anche piu' spinte occorre non essere acquiescenti, ma cercare connessioni sempre meno scontate, non banalmente riduzionistiche, anche attraverso l'ulteriore approfondimento della comprensione dei nostri stessi limiti conoscitivi e di possibili vie di uscita (il teorema di Goedel insegna).
Lello Rossi