1. Astro-Percorsi - Colori e Spettri delle Stelle

Solo nella sua storia più recente l'uomo è riuscito a comprendere la natura del Sole. Per il fatto che dà energia ed è fonte di vita sulla Terra è sempre stato considerato una divinità nelle civiltà più antiche. Oggi però sappiamo che esso è più semplicemente la stella a noi più vicina, una conclusione a cui siamo arrivati essenzialmente studiando la sua luce. Essa infatti non è solo una fonte di energia, ma nasconde anche una grande quantità di informazioni sulla natura della nostra stella, ed è di questo che ora ci vogliamo rendere conto.

1.1 - Breve digressione sul colore dell'arcobaleno

Molte informazioni sulla natura di una sorgente di luce sono codificate nel cosiddetto "spettro" della luce che, nel caso del Sole, possiamo vedere anche ad occhio nudo quando osserviamo il fenomeno dell'arcobaleno. Questo è il punto focale: l'arcobaleno mette in evidenza che la luce del Sole, che a noi appare di un unico colore bianco, in particolari condizioni si può scomporre nelle sue componenti che si mostrano come una sequenza di archi proiettati nel cielo con colori ed intensità diversi. Il fenomeno è associato alle piogge che lasciano in sospensione nell'atmosfera goccioline d'acqua che, in presenza della luce del Sole (proveniente dalla direzione opposta all'arcobaleno) si comportano come piccoli prismi. Un fenomeno simile lo possiamo infatti osservare anche se facciamo passare la luce di una lampada ad incandescenza attraverso un prisma: dopo l'attraversamento del prisma la luce bianca, che proviene da un'unica direzione, uscirà in direzioni diverse e con colori diversi. Un modo per capire cosa succede è di pensare che la nostra lampada in realtà emette una luce che è una mescolanza di radiazioni di vari colori. Nel suo passaggio attraverso il prisma le differenze tra vari colori si evidenziano perché la radiazione, entrando nel prisma, viene rifratta (come fosse “piegata”) ad angoli diversi a seconda della lunghezza d'onda, ovvero a seconda del colore. All'uscita dal prisma si noterà che la radiazione blu viene "piegata" più della rossa in modo che i vari colori emergano ad angoli diversi formando così una specie di arcobaleno.
Notiamo ora che abbiamo introdotto il termine "lunghezza d'onda" in associazione al "colore della luce" e quindi abbiamo implicitamente adottato l'idea che la nostra percezione del colore sia legata alla lunghezza d'onda della radiazione o, meglio, alla combinazione di radiazioni di diversa lunghezza d'onda che mescolandosi compongono la luce emessa da una sorgente luminosa. Siamo più pronti ora ad usare l’espressione "spettro della luce" per indicare la sequenza di intensità (qui sinonimo di brillanza) e di lunghezze d’onda emesse da una data sorgente luminosa, tenendo presente che le lunghezze d'onda delle radiazioni che producono un colore blu sono tipicamente più piccole di quelle che invece producono il rosso.

1.2 I colori delle stelle

Oltre che a scaldare e fornire energia, quale altra informazione porta con sè la luce del Sole? Per rispondere a questa domanda ci può guidare una analogia con un pezzo di ferro scaldato dal fabbro: osserviamo che all'aumentare della temperatura il colore del metallo ci appare prima nero, poi rosso, giallo ed infine, alla temperatura più alta diventa bianco. In casi come questo allora il fabbro può usare il colore come un termometro per valutare la temperatura del metallo, cosa che effettivamente fa.
Questa esperienza la possiamo ripetere in casa osservando come cambia il colore del filamento di una lampada a luminosità variabile. Ci rendiamo conto facilmente che la luce è minima quando il filamento è più freddo e rosso, mentre aumenta man mano che il filamento si riscalda e tende al colore bianco.
Date queste osservazioni possiamo fare due considerazioni:
1) un corpo emette più radiazione (è più brillante) quando è caldo rispetto a quando è freddo;
2) un corpo caldo appare più bianco di uno freddo, che invece tende più al rosso.
Siccome le stelle sono corpi caldi che emettono luce con modalità analoghe a quelle del filamento della nostra lampada, useremo le considerazioni fatte poc'anzi per dire che il colore delle stelle può essere usato come indicatore della temperatura di superficie, cioè della regione da cui proviene la luce stellare.


Fig.2 Spettri della radiazione del corpo nero a diverse temperature. Si nota come al crescere di T il massimo di emissione si sposta verso le lunghezze d'onda inferiori, ossia verso il blu, come previsto dalla Legge di Wien

1.3 - Come valutare la temperatura misurando il colore

Purtroppo i nostri occhi sono capaci di distinguere bene i colori solo di giorno, mentre di notte la loro sensibilità cromatica cala fortemente rendendo le nostre osservazioni di scarsa affidabilità per quanto riguarda la valutazione del colore delle stelle. Se proviamo ad osservare un cielo limpido e abituando l'occhio all'oscurità è possibile comunque accorgersi della diversa colorazione delle stelle: la maggior parte ci apparirà bianca (nell'oscurità il nostro occhio preferisce aumentare la sensibilità a scapito della percezione dei colori: per questo si dice che di notte vediamo essenzialmente in bianco/nero), ma se consideriamo le più brillanti in modo che l'occhio sia ben stimolato potremo notare che alcune appaiono più blu e altre più rossicce della media. Questa constatazione si può estendere anche alle stelle più deboli con l'aiuto di un piccolo telescopio che ci permette di raccogliere luce sufficiente per una valutazione "ad occhio" del colore.


Fig.3 Tracce stellari nella regione di cielo compresa tra la costellazione del Toro e quella del Perseo. Le tenui sfumature di colore sono impercettibili all'occhio umano ma sono facilmente catturate dai moderni sensori digitali. Gli archi di cerchio corrispondono al percorso apparente delle stelle nel cielo dovuto alla rotazione della terra. La direzione del polo nord è individuata dal centro (fuori campo) comune a tutti i cerchi.

Sulla base della precedente discussione potremmo già dire che le stelle blu hanno superfici più calde delle stelle rosse, ma per passare all'effettiva valutazione della temperatura delle superfici bisogna fare ancora un passo in più. Per questo abbiamo bisogno di riprendere il concetto di "spettro della radiazione" che abbiamo introdotto a proposito della luce dell'arcobaleno e che misura l'andamento della intensità dell'emissione (la brillanza) al cambiare della lunghezza d'onda (il colore).
Nella fig.4 sono rappresentati gli spettri emessi da una sorgente a due temperature diverse e si nota che, se misuriamo le intensità a due diverse lunghezze d'onda troviamo che le cose cambiano al cambiare della temperatura dello spettro. In altre parole il rapporto delle intensità della luce a due diverse lunghezze d'onda cambia al cambiare della temperatura e quindi è una quantità che può essere usata per ricavare la temperatura quando non possiamo usare un termometro a contatto con la nostra sorgente luminosa ma ne possiamo solo osservare lo spettro. Il gioco è fatto: basandoci sull’esperienza acquisita studiando il comportamento della luce nei nostri laboratori abbiamo individuato un metodo applicabile alla luce in generale, e quindi anche alla luce proveniente dalle stelle. Possiamo quindi dire di poter valutare le temperature delle superfici stellari misurando la brillanza di una stella a due diverse lunghezze d'onda della luce, evitando in questo modo di fare un viaggio fino alla stella per mettere un termometro a contatto con la sua superficie! Le temperature valutate con il metodo appena descritto vengono indicate spesso con il nome di "temperature di colore".


Fig.4 Grafico esplicativo del concetto di Temperatura di colore. Per chiarire le differenze con la Fig.2 precedente si noti che, per evidenziare meglio il comportamento dello spettro al variare della temperatura, abbiamo usato scale logaritmiche. Inoltre le lunghezze d'onda sono state espresse come frequenze usando la relazione: lambda x frequenza = velocità della luce.

1.4 - Lo spettro delle stelle

Abbiamo fin qui visto come possono essere valutate le temperature stellari usando l'analogia con le lampade a filamento delle nostre case. Tuttavia potremmo anche domandarci quanto questa analogia sia effettivamente applicabile al nostro caso e quali siano gli eventuali limiti alla sua applicabilità. La risposta è tecnicamente complicata, ma si può condensare in due affermazioni apparentemente contrapposte, ma invece tutte e due valide:

    a) per valutare la brillanza delle stelle nei vari colori abbiamo disperso la luce e abbiamo osservato come questa mostri caratteristiche globali molto simili a quelle della luce emessa da lampade a filamento.
    b) se però abbiamo uno strumento (spettrografo) che ci permette di aumentare la dispersione della luce notiamo che, mentre la luce della lampada apparirà sempre come uno spettro continuo, quella stellare mostra invece uno spettro più complicato, solcato da molteplici "linee" di assorbimento, (vedi Fig.5), che inoltre appaiono diverse per stelle diverse.

Rimane comunque valido il nostro modo di valutare le temperature di colore perché, usando il "colore", abbiamo scelto una caratteristica non molto influenzata dalla presenza di linee di assorbimento. Una misura di colore vede infatti coinvolte "bande di lunghezze d'onda" in cui la presenza di qualche linea di assorbimento cambia poco il risultato finale che è comunque dominato dalla parte continua dello spettro. Comunque il problema effettivamente c'è, ma può essere risolto applicando correzioni appropriate ai valori ottenuti applicando "ciecamente" il metodo sopra descritto.


Fig.5 Immagine della regione di cielo centrata su Gamma Cygni, il cui spettro è contrassegnato da un gran numero di righe di assorbimento dei metalli, alcuni dei quali identificati e contrassegnati, oltre che dalla banda molecolare del CH

Questa "scoperta" delle linee di assorbimento che si stagliano sullo sfondo di uno spettro continuo apre comunque la strada ad una ulteriore analisi della luce stellare. In quella luce sono evidentemente codificate altre informazioni, oltre a quelle sulla temperatura di colore, ed è questo di cui ora ci occuperemo.
Prima di procedere però è necessario rendersi conto di come funziona il mondo microscopico nel quale atomi e molecole sono importanti sorgenti di radiazione.

1.4.1 - Linee spettrali

La "meccanica quantistica" (anche "meccanica atomica"), sviluppatasi a partire dal 1900 quando Planck introduce l'idea che l'energia possa essere quantizzata, è oggi la migliore teoria che abbiamo per capire i fenomeni che si svolgono alla scala degli atomi. Questa teoria fornisce la chiave di lettura per tutti gli spettri: sia di origine stellare che terrestre; sia continui che solcati da linee. In particolare possiamo dire che uno spettro continuo viene emesso da una sorgente i cui costituenti possono variare la loro energia in modo continuo, mentre uno spettro a linee suggerisce che la sorgente contiene costituenti che possono variare la loro energia in modo discreto (quantizzato). Nel primo tipo di sorgenti annoveriamo il filamento della nostra lampada così come il più esotico "plasma" che è un gas completamente ionizzato costituito da elettroni e ioni liberi di muoversi e che possono emettere radiazione variando la loro velocità relativa in modo continuo. Nel secondo tipo di sorgente invece gli emettitori di radiazione sono sistemi atomici (o anche molecolari) in cui le cariche positive e negative non sono libere ma legate dalla forza elettrica (anche detta forza Coulombiana) e possono emettere o assorbire luce solo variando la loro energia in salti prestabiliti dalla loro struttura interna. Se quindi per un atomo di idrogeno sono possibili salti di energia diversi da quelli consentiti ad un atomo di carbonio allora la radiazione dell'uno sarà emessa con energie diverse da quella dell'altro e quindi possiamo sfruttare questa caratteristica per indagare se una data radiazione, di cui possiamo conoscere lo spettro, sia stata prodotta dall'idrogeno, dal carbonio, o da qualunque altro elemento!

1.4.2 - Temperatura e linee di assorbimento

Usando i concetti della meccanica quantistica per interpretare gli spettri delle stelle e notando che questi spettri sono ricchi di linee di assorbimento, possiamo immaginare un preciso modello capace di giustificare la presenza di uno spettro continuo su cui si stagliano diverse linee di assorbimento. Non abbiamo bisogno di fantasticare troppo perché il suggerimento viene dall'osservazione (facilitata durante le eclissi) della struttura superficiale del Sole: vediamo una regione, detta fotosfera, al di sopra della quale si estende una atmosfera in cui il gas si rarefà e si raffredda con l'altezza. In queste condizioni la radiazione, originariamente emessa dalla fotosfera con un caratteristico spettro continuo (perché prodotto da gas completamente ionizzato, cioè un "plasma", vedi paragrafo 1.4.1), si propaga verso l'esterno attraversando l'atmosfera della stella. Siccome nell'atmosfera la temperatura diminuisce con l'altezza, è favorita la presenza di atomi che sono in grado di assorbire radiazione ma, come abbiamo visto, solo a particolari lunghezze d'onda tipiche dello specifico atomo. Il risultato finale è proprio uno spettro continuo solcato da linee di assorbimento, cosa che poi effettivamente si osserva in tutte le stelle normali!

Fig.6 Porzione di spettro solare centrato sul Tripletto del Magnesio affiancato da righe del Ferro, del Calcio, del Cromo, del Titanio, etc. Risoluzione di 0.39 A/pixel

È interessante notare come queste linee di assorbimento abbiano per noi una duplice valenza: oltre a segnalare la presenza di vari atomi e quindi informarci sulla composizione chimica dei gas stellari, permettono anche di verificare la bontà delle nostre precedenti valutazioni sulla temperatura superficiale delle stelle (vedi paragrafo 1.3). Per fare questo controllo è necessario misurare accuratamente l'intensità delle linee di assorbimento di uno stesso atomo, in modo da poter ricavare un rapporto tra intensità di linee corrispondenti a salti energetici diversi. Anche in questo caso la meccanica atomica è essenziale perché ci fornisce una relazione tra l'intensità relativa di due linee di assorbimento e la temperatura del gas che le produce.
È confortante a questo punto sapere che questo test conferma che la determinazione della "temperature di colore" per le superfici stellari è una ottima approssimazione alla temperatura del gas ricavata sulla base della intensità delle linee in assorbimento osservate negli spettri.

1.5 - La classificazione spettrale delle stelle

Dotarsi di un sistema di classificazione che permetta di considerare differenze e similitudini nei fenomeni osservati è il primo passo necessario per ogni scienza che ambisca ad indagare il mondo fisico. Classificare significa anche introdurre dei parametri di classificazione, la cui successiva interpretazione in senso fisico potrà poi svelarci la natura dei fenomeni osservati. Il primo ad accorgersi che gli spettri delle stelle sono solcati da zone di assorbimento fu A. Secchi il quale nel 1866 classificò circa 300 stelle in cinque diverse tipologie distinte in base all'importanza delle linee di assorbimento osservate nello spettro.
Ai nostri giorni le capacità osservative sono enormemente aumentate e quindi siamo in grado di distinguere gli spettri stellari in un numero molto maggiore di tipologie. Il criterio su cui si basa la moderna classificazione è comunque legato alla presenza ed intensità delle linee di assorbimento negli spettri che, per effetto della loro dipendenza dalla temperatura del gas, ai nostri occhi svolgono il ruolo di "termometro" della superficie stellare. In questo senso classificare uno spettro stellare è equivalente a determinare la temperatura superficiale della stella considerata. La classificazione è tale da associare le temperature maggiori alle stelle con meno linee di assorbimento e quelle minori a stelle con la massima presenza di assorbimenti. Intuitivamente questo si può inquadrare nell'idea che quando le temperature sono più alte il gas tende ad essere ionizzato (gli elettroni si "staccano" dagli atomi) e quindi a formare un "plasma" nel quale, come abbiamo visto prima (vedi paragrafo 1.4.1), i salti di energia non sono quantizzati. Questo sfavorisce la formazione di linee di assorbimento che infatti sono più presenti negli spettri delle stelle con minore temperatura superficiale.

Fig.7 Confronto tra gli spettri delle due stelle principali della costellazione dell'Auriga. Pur non avendo temperature enormemente diverse tra loro è evidente che Alpha Aurigae (spettro in alto) è molto più ricca di righe metalliche. Notare anche il diverso andamento del continuo, in accordo con la legge di Wien, e le spesse righe dell'idrogeno tipiche del gruppo spettrale A. Sull'asse x ed y sono riportate rispettivamente la lunghezza d'onda in Angstrom e l'intensità in unità arbitrarie.

Lo schema generale della classificazione odierna usa prima una lettera maiuscola per indicare grossolanamente l'intervallo di temperatura, all'interno del quale un numero tra 0 e 9 viene usato per precisarla meglio. In questo schema il Sole è classificato come "G2" il che lo fa corrispondere ad una temperatura di ~5800 gradi Kelvin (corrispondenti a ~5500 gradi centigradi). Sfruttando queste caratteristiche gli spettri sono suddivisi in sette classi spettrali che, per convenzione, sono indicate con le lettere O, B, A, F, G, K, M le cui caratteristiche sono riassunte nella tabella seguente.

Type

Color

Approximate Surface Temperature

Main Characteristics

Examples

O

Blue

> 25,000 K

Singly ionized helium lines either in emission or absorption. Strong ultraviolet continuum.

10 Lacertae

B

Blue

11,000 - 25,000

Neutral helium lines in absorption.

Rigel
Spica

A

Blue

7,500 - 11,000

Hydrogen lines at maximum strength for A0 stars, decreasing thereafter.

Sirius
Vega

F

Blue to White

6,000 - 7,500

Metallic lines become noticeable.

Canopus
Procyon

G

White to Yellow

5,000 - 6,000

Solar-type spectra. Absorption lines of neutral metallic atoms and ions (e.g. once-ionized calcium) grow in strength.

Sun
Capella

K

Orange to Red

3,500 - 5,000

Metallic lines dominate. Weak blue continuum.

Arcturus
Aldebaran

M

Red

< 3,500

Molecular bands of titanium oxide noticeable.

Betelgeuse
Antares


Fig.8 Spettri a bassa risoluzione di alcune stelle della costellazione del Leone appartenenti ai diversi tipi spettrali, con l'aggiunta di Vega e di Alpha Herculis. La sequenza è stata ottenuta in fase di testing (sono visibili leggeri sfasamenti nelle posizioni delle righe e una loro diversa definizione a causa di un campionamento differente, da 8 a 14 A/pixel). Per orientarsi, partendo dalla prima riga nel rosso e procedendo verso sinistra ci sono le righe di Balmer dell'idrogeno (le altre nel rosso sono O2 e H2O telluriche).Da epsilon Leo cominciano a comparire il doppietto del sodio (nel giallo) e il tripletto del Magnesio (nel verde). Lambda Leo è piena di righe dei metalli, mentre Alpha Her è dominata interamente dalle bande dell'Ossido di Titanio.

1.5.1 - Classe di Luminosità e conclusione

A completamento di questa discussione dobbiamo aggiungere che le linee spettrali portano un'ulteriore informazione sul gas che le produce. Le linee hanno infatti due caratteristiche: oltre all'intensità, che abbiamo appena utilizzato per dedurre la temperatura (detta anche “temperatura di eccitazione” perché ricavata dalla intensità delle righe prodotte dall’eccitazione degli atomi), , mostrano anche una larghezza che cambia per diversi tipi di stelle (vedi fig. 8). Siccome la larghezza di una linea spettrale dipende anche dalla pressione del gas che la produce, si usa questa caratteristica per ricavare la dimensione della stella. Il criterio si basa sul fatto che una stella compatta, detta "nana" (ed il Sole è una di queste), avrà in superficie un gas più denso rispetto a quello che ci aspettiamo in stelle più dilatate, queste ultime dette "giganti". A questo proposito sappiamo dal laboratorio che un gas compresso produce linee spettrali più larghe di uno rarefatto, cosa che è anche prevista dalla meccanica atomica. Ci sentiamo quindi autorizzati a usare questa caratteristica delle linee per distinguere le stelle con gas compresso (e quindi "nane"), classificate col numero romano "V", da quelle con superfici più rarefatte (e quindi "giganti") che vengono classificate "III".
Questo tipo di ulteriore classificazione viene anche detto classificazione di luminosità in quanto una stella "nana", a causa della minore superficie, è tipicamente meno luminosa di una stella "gigante" o "supergigante", quest'ultima indicata dal numero romano "I".

spettro vega

Fig.9 Prima luce dello spettrografo didattico LISA (Long slit Intermediate resolution Spectrograph for Astronomy), uno strumento ottimizzato per l'osservazione spettrale di oggetti deboli. Pur essendo stati acquisiti in una serata particolarmente nebbiosa (magnitudine limite 2 allo zenit), gli spettri sono ricchi di dettagli, a testimonianza della buona qualità dello strumento se accoppiato con telescopi di elevato livello qualitativo. Oltre alla serie di righe dell'idrogeno sono ben visibili anche molte righe metalliche. Interessante anche l'effetto di luminosità che si traduce in un diverso spessore delle righe, sottili nelle rarefatte atmosfere delle supergiganti, più spesse nelle nane.

In conclusione abbiamo visto come, avendo imparato a leggere lo spettro della luce, abbiamo indagato quei punti luminosi nel cielo ottenendo molte informazioni sulla natura di quelle sorgenti di luce che oggi sappiamo essere del tutto simili al nostro Sole.

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2. Astro-Percorsi - Le Costellazioni

3. Astro-Percorsi - La misura delle distanze